Venerdi, 26 aprile 2024 - ORE:17:07

Blocchi e manifestazioni. Il punto ad un anno di Governo Monti

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Tutti ricorderete le colossali manifestazioni che dal 2008 hanno investito il nostro Paese da nord a sud, scontri nelle piazze; studenti, lavoratori, genitori, cittadini schierati contro manovre economiche e particolari riforme dell’ordinamento.

E’ palese come il sistema di lotta non sia cambiato dagli anni ’70 ad oggi: cortei e occupazioni non sono mai passati di moda, anzi, qualcuno crede che siano diventati una moda. Ogni anno si ripropone lo stesso scontro verbale tra l’apice della scala sociale e il suo fondo: il popolo in piazza e nelle scuole e nelle università anno dopo anno si deve difendere dall’accusa di essere facinoroso. Non sono cambiati gli strumenti come non sono cambiati gli slogan, è propria del nostro Paese una certa distanza socio-economica tra ambienti; la parola “classe” è ancora in voga.

Il 16 novembre 2011 è stato nominato Presidente del Consiglio dei Ministri il professor Mario Monti, sorvolando sul suo passato in ambienti molto vicini alle banche e a certe lobby è stato facile avere fiducia nella sua preparazione tecnica; come non vedere in lui e nella sua squadra la luce da seguire per uscire da una crisi da molti definita simile a quella del ’29.

D’altronde la nostra Capitale era stata, solo un mese prima, invasa da un serpentone colorato che portava lo stendardo degli “indignati”, una manifestazione che gridava «BASTA» all’austerità imposta dall’alto, da molto in alto, dall’Europa delle banche (così si disse) e accettata senza tante lacrime dal vecchio Governo… Come si poteva non sentire in un cambiamento radicale, in confronto alla politica a cui siamo sempre stati abituati, la brezza fresca di un nuovo giorno appena iniziato?

Eppure già a pochi giorni dalla nomina del nuovo Esecutivo qualcuno faceva notare i suoi dubbi. Certo l’Italia è piena di scontenti che non riescono a prender pace, ad esempio gli studenti che si sentono sempre minacciati nel loro diritto allo studio o gli operai della FIAT che non hanno mai avuto fiducia negli investimenti promessi dalla casa torinese: l’Italia è piena di esempi simili. Sono tutti scansafatiche o svegli osservatori? Ai posteri l’ardua sentenza.

Domani, 16 novembre 2012, l’Italia scenderà nuovamente per strada a gridare il suo scontento; al suo fianco i cittadini spagnoli, greci, portoghesi, cipriani e maltesi.

Si vuole far sentire il dissenso verso “politiche liberiste imposte dall’alto senza alcun dibattito democratico”: si legge in molti volantini distribuiti dai manifestanti italiani. La paura che si respira è quella di dover sopportare tagli al welfare state per poi finire come la Grecia. Qui da noi, nella penisola, ciò che appare agli osservatori esterni alle dinamiche di piazza è probabilmente la mancanza di un soggetto con cui dialogare e con cui prendersela: se si sa contro cosa si sta manifestando è difficile capire contro chi si deve urlando.

L’Europa, la Germania, il Governo, il destino ingrato… Tutto questo si traduce in duri scontri con la polizia, bombe carta sotto le auto dei comuni cittadini, uova e vernice sulle vetrate di qualche banca. A fine giornata si parla poi solo del male. Dei cittadini arrabbiati e pacifici ci si dimentica facilmente; è proprio di loro che bisognerebbe parlare.

Ma se i partiti sono presi dalla campagna elettorale, se il Governo attuale non è stato eletto, se i sindacati non sembrano avere le idee chiare… cosa dovrà inventarsi un popolo che non è muto ma che sembra boccheggiare senza essere compreso? Non gli è servito perseverare nella costanza del dialogo pacifico, opterà per un volume più alto? Imbraccerà il forcone? Si dipingerà la faccia di nero come Masaniello?

Insomma, qui dove sembra non servire a nulla farsi sentire ci si deve aspettare una nuova stagione di terrore?


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