Venerdi, 26 aprile 2024 - ORE:05:45

La riforma infinita

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Come già saprete, a qualche mese dalla costituzione di questo nuovo governo, sono già stati presentati alle camere due nuovi decreti attuativi della tanto discussa “riforma Gelmini”. Essi si pongono in perfetta continuità con quella che è l’ennesima riforma di “distruzione dell’università statale”. Questo quasi a voler confermare un’ antropologia genetica dell’elité dirigente di questo paese ,impegnata ,fin dalla sua costituzione, in una continua dinamica gattopardiana eternamente volta a inglobare qualsiasi germoglio di cambiamento al suo interno, purchè esso non produca risultati concreti all’esterno .Pare dunque che anche il nuovo governo a dispetto della sua natura (di matrice liberale e proveniente in gran parte dal mondo dell’istruzione) si ponga gli stessi obbiettivi dei precedenti. Quello che mi colpisce ancora di più, è che sono in molti a sostenerlo, persino il Pd a suo tempo in parte contrario alla riforma che pur non condividendo queste posizioni ,si ostina a preferirlo a qualsiasi tipo di alternativa (per loro ancora inesistente) riconfermando ancora l’inadeguatezza della sinistra parlamentare italiana. Entrando nel vivo del discorso possiamo evidenziare quelli che sono i punti chiave su cui ancora una volta si sono basati i nostri governanti : l’ulteriore blocco del turn-over ,e l’aumento della tassa regionale. Il primo in fatti sarà ulteriormente prolungato e sarà dimezzata la soglia di ricercatori che potranno accedere alla docenza , 37 atenei non avranno nessuna possibilità di fare nuove assunzioni a meno di non finanziarle con gli introiti dei futuri aumenti delle tasse, mentre la seconda sarà aumentata da 93,5 euro in media a 160 euro. Viene inoltre concessa la possibilità alle regioni di alzare le tasse fino ad un massimo di 200 euro, oggi in alcune regioni del nostro paese le tasse sono ben al di sotto dei 100 euro e solamente 3 regioni hanno tasse superiori ai 120 euro, tassa minima prevista dal nuovo decreto.. Con conseguenze che possiamo prevedere fin da ora : la formazione sempre più massiccia di una classe-non classe lavoratrice sempre più instabile e precaria costretta a svolgere una ricerca mecenatizzata e orientata agli ambiti più redditizi o pubblicabili (questo perché la ricerca è considerata solo in base alla quantità di pubblicazioni e non dalla sua qualità) , in perfetta tendenza con quello che è successo negli ultimi vent’anni dove la ricerca italiana è stata costretta a logiche finanziarie o di tipo paternalistico in perfetta contrapposizione con quello che è lo scopo della ricerca stessa: l’innovazione (la distruzione dei paradigmi vigenti e il miglioramento della società).Senza una ricerca libera e indipendente è impossibile da ottenere ciò .Un ulteriore risvolto è quello di diminuire drasticamente il personale destinato alla didattica , in ottica in cui le università nuove, sono favorite a quelle vecchie più prestigiose, e costrette a delle manovre niente affatto alternative : la chiusura di corsi e o il loro accorpamento in corsi unici (come già sta avvenendo)oppure la creazione o l’ulteriore aumento del numero chiuso e infine l’innalzamento della soglia del 20% sulle tasse universitarie che in teoria dovrebbe comportare il passaggio da università statali a private ma che in realtà salvo qualche ateneo virtuoso(ad. esempio quello Pisano) è già stato realizzato in tutta Italia. Quindi da un lato il “governo dei professori” vara manovre volte a liberalizzare il mercato dei consumi mentre dall’altro tende ad escludere sempre più concorrenza in un mercato di importanza vitale per un paese vecchio e statico come il nostro :quello dell’alta cultura. Gli sviluppi che comporta questa continuità di percorso sono evidenti ,con la riduzione dei corsi e l’aumento sempre più inflazionato delle tasse si vuole chiaramente sbarrare l’accesso a fasce sempre più ampie di popolazione ad un alta competenza professionale e culturale a cui un paese in piena crisi da “desviluppo” dovrebbe puntare, con un conseguente impoverimento sempre più drastico del capitale culturale nelle fasce medie e basse di reddito economico. Tutto ciò comporta tra le tante cose ,l’inacessibilità di questa larga fascia di popolazione al cosiddetto ascensore sociale (fermo per manutenzione ormai da anni)per non parlare del divieto assoluto all’accesso dei posti dirigenziali e governativi affidati oramai sempre in più larga misura ai tecnici . L’ulteriore risvolto dato da questi decreti è ancora più allarmante, non si punta semplicemente ad un impoverimento culturale sempre più ampio ,la prospettiva è difatti molto più terrificante.


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